Sentire le voci può fare paura. Cristina Contini da anni vive a contatto con le voci. La sua storia, la sua sensibilità, la sua decisione di mettersi a servizio delle persone in sofferenza e soprattutto il suo lavoro in ambito psichiatrico, a disposizione degli ultimi, testimoniano quanto sia importante l’ascolto. L’ascolto per assumere consapevolezza, per affrontare e superare la paura, per comprendere cosa quel “sentire” ci stia comunicando, per far sì che tutte le parti di sé tornino a integrarsi, trovando una coerenza nell’agire e nell’essere.

Cristina Contini è stata una delle prime uditrici di voci al mondo a “svelarsi”, soprattutto rispetto alla propria esperienza del “sentire”, e ora si racconta, nell’autobiografia Una vita, due vite. Corso e percorso di voci. Un libro che parte dall’esperienza del coma, passa per l’aiuto individuale a persone travolte dalla sofferenza arrivando alla creazione dei primi gruppi di auto-mutuo-aiuto per uditori di voci a Reggio Emilia e alla fondazione dell’Associazione Nazionale Sentire le Voci, che oggi collabora con professionisti e operatori dei Dipartimenti di Salute Mentale delle ASL di tutta Italia e offre accoglienza e aiuto agli uditori di voci e alle loro famiglie.

Il libro, corredato dalla prefazione dello psichiatra e psicoanalista Paolo Cozzaglio e dalla postfazione dello psicologo e psicoterapeuta Francesco Bocci, affronta i dubbi e le scoperte di un percorso individuale, il lavoro di equipe con professionisti nel mondo della salute mentale che ha portato a capire la correlazione tra voci e trauma, la prospettiva mondiale di un fenomeno su cui l’Italia si è mossa solo negli ultimi anni. E poi gli interventi per affrontare casi difficili, anche quelli dove sembrava non esserci possibilità di recovery, ma solo “contenimento” di un sintomo, ridando così la speranza a persone e famiglie che pensavano di averla persa del tutto.

È il racconto di un percorso, fatto di spiritualità, silenzi, scelte, con la loro intensità, l’importanza delle parole, per arrivare a comprendere la necessità per ciascuno di noi di “sentire” la propria vita. “Ho capito – dice Cristina Contini – che con la mia presenza e con la mia storia potevo testimoniare che in ognuno di noi, nella sofferenza, c’è la capacità del cambiamento. Il mio sentire le voci non era un modo di essere, un mondo isolato dove ho creato un mio immaginario, ma un mondo di essere, un luogo – come l’albero – che mi rendeva visibile sempre di più le bellezze e le bruttezze dell’uomo”.

Nell’incontro con Cristina mi trovai a riflettere su ciò che avevo intuito nel lavoro con i pazienti, ma che non avevo mai avuto così chiaro in mente. Il primo pensiero era che allucinazione non è sinonimo di patologia; lo è quando la voce, su base traumatica o emotivamente insostenibile, è un’esperienza scissa dal Soggetto che la sente. […] Il secondo pensiero è stato più una sensazione di meraviglia: le “allucinazioni” erano tante voci. Persone, rumori, toni, luoghi, emozioni, momenti diversi. Le voci potevano – anzi dovevano – essere descritte in mille modi per essere conosciute. Quello che era un mondo di sofferenza si poteva così aprire in un ricco caleidoscopio di colori”

Dalla prefazione di Paolo Cozzaglio, Psichiatra, Psicoanalista Junghiano

L’intreccio di Cristina Contini è dato dalla capacità di liberarsi di qualcosa di proprio per aprirsi all’Altro da Sé, creando così legami, aprendo una porta tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori di Sé, senza necessariamente controllare l’Altro e il diverso, ma maturando la grande capacità dell’Ascolto, molto difficile oggi, nella nostra frenetica e “trasparente” società, dove tutto è visibile, tutto deve essere chiaro, ma si fa fatica ad andare “oltre”, a recuperare la dimensione della scoperta, ad essere creativi, a raccogliere, a mettere in sicurezza. Ci vogliono due doti, che pochi hanno, e che Cristina ha ritrovato nella sua vita: l’umiltà e la forza. Sembrano contrapposte ma non lo sono, fanno parte di una dimensione verticale e orizzontale insieme, che si compensano a vicenda trovando un equilibrio, quasi perfetto”.

Dalla postfazione di Francesco Bocci – Psicologo, Psicoterapeuta Adleriano