femminismo

  • di Collettivo LASTESIS 
    Il manifesto politico di LASTESIS, collettivo artistico femminista che nel 2019, nel pieno delle proteste che hanno infiammato il Cile, ha ideato "Un violador en tu camino", canto e performance di lotta replicata e interpretata nelle strade di oltre 50 Paesi. Il corpo e l'arte diventano strumento di battaglia e analisi critica di un presente dove maschilismo e patriarcato pretendono ancora di imporre una norma che si fa violenza sulle donne, sulle dissidenze, su chi non è conforme. Dal Cile al resto del mondo, la risposta viene dalla risonanza del messaggio, dalla capacità di ribellarsi al patriarcato come allo sfruttamento capitalista, al sessismo come ai ruoli assegnati "per natura" alle donne, alla norma etero come alla violenza. La capacità di ribellarsi anche alla paura. Insieme. L'edizione italiana del libro è arricchita dall'inserto fotografico Plaza de la Dignidad, a cura di Luca Profenna. Traduzione di Ilaria Leccardi.
  • di GRADA KILOMBA 
    "Quando scrivo divento la narratrice e la scrittrice della mia realtà, l’autrice e l’autorità della mia stessa storia. In questo senso, divengo la contrapposizione assoluta di ciò che il progetto coloniale ha predefinito". Memorie della piantagione è l’opera cardine di Grada Kilomba, artista interdisciplinare che, sovvertendo i canoni delle pratiche artistiche, affronta il razzismo e le forme di decolonizzazione del sapere, concentrandosi su elementi come memoria, trauma, genere. In questo testo emerge la realtà psicologica del razzismo quotidiano, vissuto in particolare dalle donne Nere e basato sulle impressioni soggettive, le auto-percezioni e le narrazioni biografiche. La combinazione delle parole “piantagione” e “memorie” descrive il razzismo come realtà traumatica e posiziona lə soggettə Nerə in una scena coloniale dove, tutt’a un tratto, il passato viene a coincidere con il presente e il presente è esperito come se ci si trovasse ancora in quel passato straziante. Ma a cui è possibile rispondere, con un processo di decolonizzazione del sé. Un libro fondamentale, attraverso cui Grada Kilomba crea uno spazio di resistenza e speranza, una nuova geografia del futuro.
    Grazie alla traduzione di quest’opera, Capovolte introduce nelle sue pubblicazioni l’utilizzo della lettera ǝ, con l’obiettivo di andare alla ricerca di un linguaggio più inclusivo.
    Traduzione di Mackda Ghebremariam Tesfaù e Marie Moïse
    Traduzione dell'introduzione dal portoghese di Silvia Stefani
  • di MANUELA MELLINI La bicicletta per le donne non è mai stata solo un mezzo di trasporto, ma un veicolo con cui portare avanti battaglie, sfidare le convenzioni e tratteggiare la via per la propria emancipazione. Dalla sua nascita agli anni delle pioniere; dalle imprese di Alfonsina Strada, unica donna ad aver preso parte a un Giro d’Italia maschile, alla Resistenza che trasformò la bicicletta in un’arma preziosa; dagli anni ’60, con le battaglie sociali e il riconoscimento del ciclismo agonistico femminile, all’epoca odierna in cui, a fronte di alcune importanti conquiste, il lavoro da fare resta molto. La bicicletta è ancora sinonimo di resistenza e rivoluzione nei luoghi in cui le donne devono battersi per i diritti più elementari, ma anche nelle città occidentali, dove la lotta per il proprio riconoscimento va di pari passo con la ricerca di una mobilità democratica e inclusiva, con lo sguardo all’ambiente. Nella battaglia per l’autodeterminazione, nella volontà di costruire una società più equa e giusta, la bicicletta è un’ottima alleata delle donne. Perché è sostenibile, libera, non violenta, e permette di conquistare spazi fisici e sociali che a volte ancora sembrano preclusi. Prefazione di Paola Gianotti Illustrazione di copertina di Resli Tale
  • di NINA LAKHANI "L’esercito ha una lista di persone da uccidere, con il mio nome in cima. Io voglio vivere, ma in Honduras l’impunità è totale. Quando vorranno ammazzarmi, lo faranno". Nel 2015 la leader indigena Berta Cáceres ha vinto il Goldman Prize, il premio ambientale più prestigioso al mondo, per aver guidato la campagna contro una diga idroelettrica finanziata dalle multinazionali sul fiume sacro del popolo Lenca. Meno di un anno dopo è stata uccisa. Nina Lakhani ripercorre la sua storia, il suo impegno a difesa dell’ambiente, dipingendo il ritratto intimo di una donna straordinaria, che si è battuta nonostante le intimidazioni e la morte di numerosi compagni. Ma al tempo stesso racconta la storia di un Paese, l'Honduras, oppresso dai poteri delle grandi aziende, del narcotraffico e dall’ombra degli Stati Uniti. Un'inchiesta potente, condotta con decine di interviste e anni di ricerche sul campo, nonostante le minacce ricevute dall'autrice, unica giornalista straniera ad assistere al processo in cui funzionari della sicurezza statale, sicari e dipendenti della compagnia incaricata della costruzione della diga sono stati condannati. Molte domande sui mandanti rimangono senza risposta. Traduzione di Agnese Gazzera
  • di DJAMILA RIBEIRO
    Chi ha diritto di parola in una società come quella occidentale, dove maschilismo, bianchezza ed eterosessualità risultano essere la norma? Ripercorrendo le riflessioni di figure storiche del femminismo come Simone de Beauvoir, Lélia Gonzalez, Angela Davis e diverse pensatrici contemporanee, Djamila Ribeiro fa emergere la posizione critica della donna nera: lei è l'altro dell'altro, ai margini del dibattito sul razzismo centrato sull'uomo nero e ai margini del dibattito di genere centrato sulla donna bianca.
    Riflettere sul femminismo nero non crea scissioni ma, anzi, serve a "interrompere la scissione che si è creata in una società disuguale". E, ragionando su come le oppressioni di razza, genere e classe si intersecano, significa "ideare progetti, nuovi traguardi civilizzatori, pensare a un modello differente di società". In questo contesto si inserisce il concetto di "luogo della parola", pensato come un rifiuto della storiografia tradizionale e della gerarchizzazione dei saperi, risultante dalla gerarchia sociale. Perché parlare non vuol dire soltanto emettere delle parole, ma significa poter esistere.
    Traduzione di Monica Paes
    Postfazione di Valeria Ribeiro Corossacz 
  • di LUCA MARTINI Cos’è un Centro Antiviolenza? Come funziona e chi lo attraversa? Chi sono le donne che lavorano al suo interno e coloro che invece vi si rivolgono? Nati in Italia tra la fine anni ’80 e i primi anni ’90, oggi quasi tutte le città italiane ma anche i piccoli Comuni vedono questi Centri protagonisti di un’azione di prevenzione e tutela delle donne, fondamentale dal punto di vista sociale. Tuttavia, sono ancora deboli la considerazione politica e la presa di coscienza collettiva sul problema della violenza contro le donne, che è poi la manifestazione più brutale di una sottocultura di dominanza maschilista e patriarcale. Luca Martini percorre un’indagine in diverse Regioni d’Italia, attraversando nove Centri della rete D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, per capire come operano queste realtà e chi sono le donne che vi si rivolgono. E lo fa tramite le parole delle “sopravvissute” e delle operatrici-attiviste che hanno seguito le loro storie, accompagnandole in percorsi di rinascita, ritorno alla vita, fuoriuscita dalla violenza. Prefazione di Antonella Veltri, presidente di D.i.Re.

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