Il naufragio alle rive di Cutro  è una ferita umana profonda, un grido silenzioso e silenziato da una responsabilità istituzionale e collettiva. Cento vite esposte fino a morte prematura da una perversa gerarchia dell’umano che si chiama razzismo
La violenza bianca e coloniale che spezza la vita si riverbera in un trauma collettivo dei legami familiari, amicali e affettivi. Un’altra pagina di un passato che non è passato perché si ripete quotidianamente. Nelle parole di Grada Kilomba la memoria di quel che è accaduto si trasforma in ossessione, fino a che non potrà avere, simbolica e materiale, una degna sepoltura. Scopri -> Memorie della piantagione. Episodi di razzismo quotidiano
I versi di Rahma Nur “il grido e il sussurro” che dà forma di parola alla ferita, che qualcunə avrà anche il privilegio bianco di anestetizzare, ma permane «dolore profondo dell’umanità».
«Come posso demolire il mio razzismo?», invita Kilomba a domandarsi, «poiché è l’interrogativo stesso a dare avvio al processo».
Di fronte ai versi di Nur, la responsabilità collettiva è l’urgenza di riparare questa storia: significa interromperla, perchè non accada mai più.