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  • di Rahma Nur

    Una voce che rifiuta ogni incasellamento e silenziamento. Che dipinge un mondo complesso, dove la gioia e il dolore trovano spazio di riconoscimento, dove entrambi possono essere sussurrati e gridati. Una voce grazie a cui le parole si fanno veicolo per connettere mondi e al tempo stesso per valicare frontiere, linguistiche, culturali ed emozionali.

    È quella di Rahma Nur – donna, Nera, madre, (dis)-abile – che, nella sua prima raccolta di poesie, ci consegna un grido potente, intimo e al tempo stesso politico, contro le ingiustizie di una società ancora razzista, restituendo una molteplicità di lingue, quelle dimenticate e quelle incontrate, il dolore della perdita, ma anche la speranza di una maternità generativa. Una voce che si sofferma, attraverso l’atto poetico, sulla necessità di ribaltare lo sguardo, respingendo quegli occhi che “guardano senza riconoscere”, con il desiderio di ridurre e approssimare, restituendo invece – come scrive Mackda Ghebremariam Tesfau’ nella prefazione – uno sguardo proprio, non marginalizzato, capace anche di raccontare con il loro nome i dimenticati, le vittime del razzismo. La possibilità di una lettura trasformativa.

  • di DJAMILA RIBEIRO
    Chi ha diritto di parola in una società come quella occidentale, dove maschilismo, bianchezza ed eterosessualità risultano essere la norma? Ripercorrendo le riflessioni di figure storiche del femminismo come Simone de Beauvoir, Lélia Gonzalez, Angela Davis e diverse pensatrici contemporanee, Djamila Ribeiro fa emergere la posizione critica della donna nera: lei è l'altro dell'altro, ai margini del dibattito sul razzismo centrato sull'uomo nero e ai margini del dibattito di genere centrato sulla donna bianca.
    Riflettere sul femminismo nero non crea scissioni ma, anzi, serve a "interrompere la scissione che si è creata in una società disuguale". E, ragionando su come le oppressioni di razza, genere e classe si intersecano, significa "ideare progetti, nuovi traguardi civilizzatori, pensare a un modello differente di società". In questo contesto si inserisce il concetto di "luogo della parola", pensato come un rifiuto della storiografia tradizionale e della gerarchizzazione dei saperi, risultante dalla gerarchia sociale. Perché parlare non vuol dire soltanto emettere delle parole, ma significa poter esistere.
    Traduzione di Monica Paes
    Postfazione di Valeria Ribeiro Corossacz 
  • di Mounia El Kotni e Maëlle Sigonneau Maëlle ha 30 anni quando scopre di avere un cancro al seno metastatico, ritenuto incurabile. E la sua esperienza di terapia da fatto privato si fa politico. Un grido di denuncia, uno sguardo per approfondire il percorso di cura che ogni anno coinvolge migliaia di donne, ma su cui ancora pesano una narrazione stereotipata che guida forme di business truccate di rosa, molteplici aspettative di genere imposte dalla società, casi di violenza oncologica spesso sottaciuti o difficili da riconoscere. Partendo dall’esperienza personale di Maëlle Sigonneau e dai lavori di ricerca dell’antropologa Mounia El Kotni, nasce questo volume, che fa seguito al podcast di successo Im/Patiente, prodotto e distribuito in Francia nel 2019. Un libro di analisi e di lotta, per provare a cambiare sguardo e agire insieme, tessendo nuove forme di alleanza, contro la malattia del secolo.
  • Esaurito
    di silvia b Bisogna avere forza per tentare e ritentare il game, il passaggio di confine, dopo percorsi di vita, respingimenti, torture, abbandoni, approdi. Bisogna avere fortuna per vincerlo quel “gioco”, perché la "nostra” non è terra per migranti. In mezzo c’è the border, non uno, ma un’estenuante serie di confini e discriminazioni poste come ostacoli alle vite di persone di ogni genere, età e provenienza. Con uno stile lirico e potente, che alterna narrazione a linguaggio poetico, e una serie di vivide immagini fotografiche, l’autrice ci porta nel mezzo di alcuni dei luoghi di migrazione più attraversati del nostro tempo: prima la rotta balcanica, tra Serbia e Croazia e Serbia e Ungheria, poi il Mediterraneo, sull’isola greca di Lesvos, con il suo volto di salvezza e al tempo stesso di prigione. E infine l’Italia, in quella Trieste che si affaccia sui Balcani, dove un’umanità solidale si scontra con molteplici forme di razzismo quotidiano, così come succede a Ventimiglia, a Milano, a Bologna. Qui lo sguardo dell'autrice si sofferma sulla scuola - spazio in cui razzismo e classismo s’intersecano con il sessismo quotidiano - moltiplicando le discriminazioni e le sfide per le donne di origine straniera, e sulle frontiere interne che si continuano a costruire intorno alle persone che arrivano. Non solo un reportage, ma un'opera situata, che porta all'interno dell'azione e fa risuonare le voci di chi è in viaggio nella bellezza degli incontri. Un libro che dai margini denuncia ingiustizie, violenze e contraddizioni, in una visione femminista e antipatriarcale, critica e autocritica verso lo sguardo eurocentrico e le politiche di esclusione europee.
  • di Carla Akotirene

    Il termine “intersezionalità” è sempre più utilizzato dai femminismi, dai contesti accademici e dalle narrazioni dominanti che negli anni se ne sono appropriate, colonizzandolo e rischiando di svuotarlo di significato. La studiosa brasiliana Carla Akotirene torna alle radici del concetto, alla sua origine teorica e a quella politica, con l’obiettivo di decolonizzare le prospettive egemoniche e riportando al centro di dibattito l’Atlantico – come locus di oppressioni incrociate – e il contributo delle femministe Nere provenienti dal Sud Globale. A partire dalla formulazione del termine da parte di Kimblerlé Crenshaw in ambito giuridico, Akotirene allarga la prospettiva riprendendo e affermando un modello afro-centrico.

    Le battaglie di Lélia Gonzalez e Sueli Carneiro, punti di riferimento del femminismo Nero afro-brasiliano, si connettono ai contributi di studiose africane come Oyèronké Oyèwúmi, Bibi Bakare, Sylvia Tamale, e risuonano nelle parole delle intellettuali “amefricane”, da bell hooks ad Angela Davis, da Audre Lorde a Patricia Hill Collins.

    Un testo nato nella collana Feminismos Plurais diretta dalla filosofa brasiliana Djamila Ribeiro, che contribuisce a svelare le trappole imposte dal potere coloniale. Pagine capaci di guidare verso nuovi percorsi interpretativi e creare opportunità di resistenza.

    Traduzione italiana a cura di Monica Paes. Revisione di Francesca De Rosa.
  • Io sono

    20,00

    Cos’è il corpo per una ginnasta professionista? Come raccontare la sua potenza, elasticità, eleganza e forza? E qual è il rapporto tra l’atleta e il suo stesso corpo, strumento di lavoro fin dalla giovane età, che da una parte si pretende macchina perfetta, dall'altra deve fare i conti con la vita reale e i canoni imposti dalla società?

    Io sono è un progetto fotografico di Filippo Tomasi, professionista con anni di esperienza sui campi gara di tutto il mondo, in cui 17 ginnaste provenienti dall'universo dell'artistica e della ritmica hanno deciso di raccontarsi attraverso la propria fisicità, senza veli.

    Un progetto in cui la fotografia si fa parola, il gesto diventa arte, il bianco e il nero dipingono storie di fatica e crescita, per rivendicare, attraverso le singole esperienze ma con una voce collettiva, il diritto di mostrarsi per ciò che si è, per il piacere di condividere e affermare che ogni corpo è degno, speciale e bello.

    "Ti diranno che non vai bene, ti diranno che sei troppo alta, bassa, magra, grassa, ti guarderanno per come sei, per cosa fai, per le scelte che prenderai e ti giudicheranno, sempre. Ama ogni cosa di te, ogni difetto e imperfezione perché sono quelli che ti rendono unica".

      Con la prefazione di Francesca Masserdotti, di Assist - Associazione Nazionale Atlete

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